Ho letto “Viaggio al termine della notte” di
Louis-Ferdinand Céline.
Un libro cupo, fosco. Ma allo stesso tempo, almeno
per me, meraviglioso.
Céline si tuffa a capofitto nelle fogne
dell’esistenza, descrivendo certe meschinità umane con una lucidità e uno stile
affascinanti, dove l’annichilimento e la comicità - così teneramente a braccetto
- pagina dopo pagina diventano una sol cosa, come anima e corpo; ma soprattutto
disegna magistralmente la disperazione di un’umanità che sembra senza scampo,
col suo ghigno nichilista ci narra di poveri che restano poveri, con quella sua
ironia affilata ci narra della vita, questa scheggia di luce che finisce nella
notte…ma fondamentalmente sembra volerci dire che la verità di questo mondo è
la morte.
In Hugo, nei “Miserabili”, c’è un’idea di
salvezza, una possibilità di riscatto, una moralità di alcuni personaggi che
tendono al Bene. In Céline no. Non c’è niente di tutto ciò.
Bardamu è un personaggio triste, semplice comparsa
in questa vita, che nei suoi peregrinaggi non trova mai un briciolo di
felicità, a parte sporadiche storie d’amore che inevitabilmente finiscono male,
quasi sempre per colpa sua.
Forse non è un libro per tutti, forse no. Ma resta
che a mio avviso è un capolavoro.
Era difficile, estremamente difficile, far sposare
il pessimismo cosmico al comico, ma Céline ce l’ha fatta. Infine lo stile,
fantastico, uno stile perennemente a un passo dal “parlato”.
Chiunque abbia mai provato a scrivere sa alla
perfezione che registrando un dialogo e riportandolo fedelmente su carta non si
otterrà giammai uno stile “parlato”, al contrario ne verrà fuori un qualcosa di
maledettamente noioso, a tratti indecifrabile.
Per raggiungere lo stile “parlato” bisogna
ricorrere a molti artifici. Più vi sembrerà naturale leggendo, più artifici vi
sono sotto.
“Viaggio al termine della notte”, alla lettura,
risulta immediato, fresco, simpatico, naturale. E, credo, fosse la prima volta
che veniva usato questo stile non solo per i dialoghi, bensì per l’intera
tessitura del racconto (rotture sintattiche e semantiche che agitano il
periodo, dislocando parole – anticipandole o posticipandole – e un uso della
punteggiatura non proprio canonica, tutto ciò è peculiare di Céline).
In generale è anche sorprendente la forza evocativa del raccontare, perché di mostrato c’è ben poco...ogni ambiente sembra evanescente, un miraggio, qualcosa di poco solido e mal costruito, cosicché durante la narrazione non avrete quasi mai l’impressione di sentirvi dentro al protagonista, ma tutto al più al suo fianco.
E' come se Céline si limitasse a raccontarvi le sue esperienze e quello che lui ne ha dedotto, da queste, ma senza per questo volervi convincere di nulla.
In questo libro c’è anche una forte polemica
sociale. Il protagonista vive in prima persona la Prima Guerra Mondiale (gli
orrori della guerra, e la retorica patriottarda di quelli che stavano nelle
retrovie a dirigere il macello), e il colonialismo (la ferocia dello
sfruttamento), e la solitudine delle metropoli (New York) e gli incubi delle
catene di montaggio (la Ford a Detroit); e tutto questo viene descritto con un
cinismo e un’ironia sublimi.
Infine Bardamu finisce con l’esercitare come
medico nella desolante periferia di Parigi (che sembra essere la periferia di
tutto il Mondo, perché le periferie sono quasi tutte uguali in tutto il mondo, grigie
allo stesso modo, povere allo stesso modo, desolate allo stesso modo).
In questo romanzo non vi sono praticamente
personaggi buoni, è tutto un minestrone di egoismo e meschinità e degrado e
malattie e morte (eccezion fatta per la buona e ammirevole Molly, una prostituta
di cui Bardamu si era innamorato durante la sua parentesi “americana”, e per il
sergente Alcide, che si è segregato in un remoto angolo d’Africa per mantenere
gli studi di una nipotina sventurata che non ha mai visto).
Céline si scorda di quanto c’è di buono nel mondo,
o forse stenta a vederlo lui stesso, e ci descrive il bassofondo, solo il
bassofondo. Ma lo fa in maniera magistrale a mio avviso.
Solo la descrizione della famiglia Henrouille,
secondo me, vale un Goncourt.
...
Poi, come in tutto, è anche una questione di
gusto. A me ha affascinato, questo romanzo, a voi potrà non piacere, ma l'arte è arte allo stesso modo, e questo romanzo è arte.
...
Frasi come queste, seppur desolanti, mi smuovono
qualcosa dentro:
“Non sei altro che un vecchio lampione di ricordi
all'angolo di una strada dove non passa già quasi più nessuno.”
Infine la mia citazione preferita:
“Ah! Se l’avessi incontrata prima, Molly, quando
c’era ancora il tempo di prendere una strada invece che un’altra! Prima di
perdere il mio entusiasmo su quella troia di Musyne e su quella stronzetta di
Lola! Ma era troppo tardi per rifarmi una giovinezza. Ci credevo più! Si
diventa rapidamente vecchi e in modo irrimediabile per giunta. Te ne accorgi
dal modo che hai preso di amare le tue disgrazie tuo malgrado. La natura è più
forte dite, ecco tutto. Ci prende le misure in un certo genere e non puoi più
uscirne da quel genere lì. Avevo preso la strada dell’inquietudine. Si prende
pian pano sul serio il proprio ruolo e il proprio destino senza rendersene ben
conto e poi quando ci si volta indietro è troppo tardi per cambiare. Si diventa
tutti agitati e rimane tutto così per sempre…
…sono passati degli anni da quella partenza e poi ancora anni. Ho scritto spesso a Detroit e poi altrove a tutti gli indirizzi che mi ricordavo e dove potevano conoscerla. Non ho mai ricevuto risposta. Buona, ammirevole Molly, vorrei se può ancora leggermi, da un posto che non conosco, che lei sapesse che non sono cambiato per lei, che l’amo ancora e sempre, a modo mio, che lei può venire qui quando vuole a dividere il mio pane e il mio destino furtivo. Se lei non è più bella, ebbene tanto peggio! Ci arrangeremo! Ho conservato tanto della sua bellezza in me, così viva, così calda che ne ho ancora per tutti e due e per me almeno vent’anni ancora, il tempo di arrivare alla fine. Per lasciarla mi ci è voluta proprio della follia, della specie più brutta e fredda. Comunque, ho difeso la mia anima fino ad oggi e se la morte, domani, venisse a prendermi, non sarei, ne sono certo, mai tanto freddo, cialtrone, volgare come gli altri, per quel tanto di gentilezza e di sogno che Molly mi ha regalato nel corso di qualche mese d’America.”
…sono passati degli anni da quella partenza e poi ancora anni. Ho scritto spesso a Detroit e poi altrove a tutti gli indirizzi che mi ricordavo e dove potevano conoscerla. Non ho mai ricevuto risposta. Buona, ammirevole Molly, vorrei se può ancora leggermi, da un posto che non conosco, che lei sapesse che non sono cambiato per lei, che l’amo ancora e sempre, a modo mio, che lei può venire qui quando vuole a dividere il mio pane e il mio destino furtivo. Se lei non è più bella, ebbene tanto peggio! Ci arrangeremo! Ho conservato tanto della sua bellezza in me, così viva, così calda che ne ho ancora per tutti e due e per me almeno vent’anni ancora, il tempo di arrivare alla fine. Per lasciarla mi ci è voluta proprio della follia, della specie più brutta e fredda. Comunque, ho difeso la mia anima fino ad oggi e se la morte, domani, venisse a prendermi, non sarei, ne sono certo, mai tanto freddo, cialtrone, volgare come gli altri, per quel tanto di gentilezza e di sogno che Molly mi ha regalato nel corso di qualche mese d’America.”
P.S. Vi suggerisco infine (da cui ho anche preso spunto) questo articolo/dedica a Cèline.
Il Signor L.
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