Siamo
ormai simili a un ammasso di esseri stipati in anguste proprietà private,
sempre più minuscole, sempre più ammucchiati, ma sempre più soli; magari siamo
legati alla nostra famiglia e abbiamo anche qualche amico, ma c’è sempre più
isolamento fra le persone e nella società in generale, tanto che per sentirci
meno soli abbiamo bisogno di acquistare cani o altri animali da compagnia che
nella migliore delle ipotesi finiremo col trattare come se fossero nostri
simili, e nella peggiore delle ipotesi come se fossero divinità da adorare;
inoltre non facciamo quasi più parte di alcuna comunità reale, abbiamo perso il concetto di comunità, di conseguenza c’è anche pochissimo impegno civico…insomma, ciò che c’è di più sociale al giorno d’oggi sono i social network e non a caso il male più dilagante e pericoloso di questo secolo non è il tumore, ma la solitudine…da cui a mio avviso poi fioriscono la depressione e la rassegnazione…
inoltre non facciamo quasi più parte di alcuna comunità reale, abbiamo perso il concetto di comunità, di conseguenza c’è anche pochissimo impegno civico…insomma, ciò che c’è di più sociale al giorno d’oggi sono i social network e non a caso il male più dilagante e pericoloso di questo secolo non è il tumore, ma la solitudine…da cui a mio avviso poi fioriscono la depressione e la rassegnazione…
Ma il
male non sta nella solitudine in sè per sè, in quanto la solitudine è una
condizione che appartiene alla natura umana, tutto dipende da che utilizzo ne
facciamo.
Come
disse Seneca: la solitudine è per lo spirito ciò che il cibo è per il
corpo, quindi chiunque prenda sul serio se stesso e la propria vita ogni
tanto sente inevitabilmente il bisogno di restare solo, invece credo che
l’incapacità di una solitudine costruttiva sia da considerarsi come una forma
di nevrosi.
L’errore
più in voga risiede nel provare terrore all’idea della solitudine, terrore che
quindi ci porta a una spasmodica ricerca dell’altro, ma non per il piacere di
una compagnia, bensì solo per paura di restare soli.
Ma i
rapporti che si creano in questo modo non sono forme di amicizia, non sono
legami genuini, sono come le merendine che sono buone solo perché ricche di
zucchero…allo stesso modo quei rapporti sono in realtà amari, sono rapporti che
non ci fanno bene, che non ci fanno maturare, perché servono solo a farci
scappare da noi stessi…e finiremo così per sentirci soli e isolati anche in
mezzo agli altri.
In realtà
dovremmo solo attraversare il deserto che porta a noi stessi e raggiungere la
solitudine, che è come un fiore: è la rinascita a partire da noi stessi.
Perché la
vera solitudine è gioia di essere sé stessi.
Solo dopo
l’altro diventa vera fonte di compagnia. Solo così troveremo l’amicizia.
Accettiamo
quindi la solitudine. E coltiviamola.
Se invece
continueremo a evitarla abbracciando una becera non solitudine finiremo
con l’appiattirci sul pensiero altrui, sul pensiero dominante, e finiremo per
seguire le mode e le tendenze del momento fino a diventare passivi e
completamente dipendenti.
Serviamoci
della solitudine per riflettere, per ricercare noi stessi e i nostri reconditi
ma autentici desideri e per metterci in contatto con la nostra forza
creativa…in definitiva dovremmo usarla per maturare individualmente…l’esatto
contrario delle masse uniformate dove l’appiattimento e l’emulazione tendono a confondere
e a far svanire l’individualità e così, ironia della sorte, nel tentativo di
fuggire dalla solitudine gettandoci nella rassicurante non
solitudine del conformismo, abbracceremo la solitudine peggiore,
quella interna, divenendo strada facendo dei perfetti sconosciuti proprio a noi
stessi; dovremmo invece usare la solitudine per imparare a stare soli perché
solo in questo modo, strada facendo, non ci sentiremo più soli in quanto ci
sentiremo sempre e comunque in compagnia di noi stessi…ed è solo tramite la
conoscenza di noi stessi che potremmo accedere a uno stile di vita autentico,
con quella vigoria che riesce a tramutare i sogni in realtà…mentre al
contrario, senza conoscere noi stessi, i nostri falsi sogni si tramuteranno in
sterili piagnistei, o se anche dovessimo riuscire a realizzarli non ci
soddisferanno come speravamo, perché ci renderemo conto, prima o poi, che non
erano i nostri sogni, ma sogni prestampati.
Il Signor
L.
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