domenica 4 gennaio 2015

Lettera ad un'amica




Sonia.

Sappi che sarai sempre viva, nei miei ricordi.

Ricordi belli e indelebili, che serberò geloso al mio interno.

Sappi che fino a quando sarò vivo io, sarai viva anche tu.

 

Sonia.

Ormai ne sono passati di anni, da quel giorno.

Son successe, e mi son successe, così tante cose, che. Ma ecco. Sappi che comunque, ogni tanto, un pensiero per te ce l’ho sempre, e di solito l’onoro ascoltando “Il Testamento”, canzone che Appino ha voluto dedicare al regista Mario Monicelli, e che io voglio dedicare a te.

 

“E sono certo in pochi possono capire,

ma davvero io son felice di morire.

Ho fatto tutto quello che dovevo fare,

ed ho sbagliato per il gusto di sbagliare,

son stato sveglio quando era meglio dormire,

e ho dormito solo per ricominciare.

Son stato solo tutto il tempo necessario,

a guardare gli altri, non per fare il solitario,

ed ho creduto in tutti per quel che ho potuto,

mi son rialzato sempre dopo esser caduto,

ho preso in giro solo quelli più potenti,

a loro ho preferito sempre i pezzenti.

Me ne son fregato dei giudizi della gente,

nessuno giudica se è un poco intelligente,

ne ho amati molti perché lo volevo fare,

tanti ne ho odiati ma anche loro per amore,

ho preferito Gesù Cristo a suo padre,

anche se entrambi non li voglio al funerale.

Ho scelto tutto quello che volevo fare,

e ho pagato ben contento di pagare,

perché la scelta in fondo è l'unica cosa

che rende questa vita almeno dignitosa

Io ho scelto esattamente tutto quel che sono,

senza la scelta io la vita l'abbandono.

Ho scelto tutto, tutto tranne il mio dolore,

lo ammazzo io, e non c'è niente da capire”

 

 

Sonia.

Sappi che anch’io credo ci sia poco da capire.

C’è solo da accettare, senza giudicare.

Anche se certo. Prima di perderti avrei desiderato abbracciarti, e poi farti ridere come una volta, per l'ultima volta, e chiacchierare ancora un po’, ubriacarci insieme sino a barcollare stonati, per poi aspettare l'alba fumando sigarette sottomarca, comprate in qualche distributore automatico raggranellando spicci da tutte le tasche.

Poi forse ti avrei lasciata andare. Perchè come disse Emil Cioran: “Soltanto gli ottimisti si suicidano, gli ottimisti che non possono più esserlo. Gli altri, non avendo alcuna ragione per vivere, perché dovrebbero averne una per morire?”

 

Sonia.

Non mi manchi. Passano anche mesi senza che ti penso. Ma poi. Mi basta ritrovare una tua foto, o una tua lettera, o un tuo pensiero scritto in qualche mio quaderno universitario, mi basta vedere un Ciao che arranca in salita, prendere una strada contromano, sentir nominare il nome della tua città, o quello di Serrapetrona, o sentire The Passenger di Iggy Pop, e, una fitta, una lacrima, mentre sorrido, un po’ sbilenco.

 

Sonia.

E quando mi capita, di ripensarti, mi torna in mente il giorno del tuo funerale.

Che giorno strano. Quasi tutta la combriccola universitaria riunita, lì, tutti un po’ più vecchi ma sempre uguali, e riuscimmo anche a ridere rivivendo vecchi momenti.

Ma poi al cimitero due lacrime, mi gonfiarono gli occhi mentre un buffo tipo lavorava di cazzuola, due lacrime che non scorderò mai.

Non era la prima volta che entravo in quel cimitero. C’ero già stato. Proprio con te, quando morì tua nonna, e mi fece così strano tornarci non più con te, bensì per te.

Solo due lacrime, che non riuscirono neanche a correre giù nelle guance, rimaste nascoste dietro gli occhiali da sole, due lacrime piccole, timide, ma dense, piene di te.

La prima nacque mentre ripensavo a tutti i bei momenti trascorsi insieme;

la seconda nacque per fare compagnia alla prima, perché da sola no, non ce la poteva fare.

 

Sonia.

E ogni volta che mi capita di ripensarti, tornano. Quelle due lacrime.

Perché lo sai. Ti ho sempre voluta bene, e ho sempre avuto parole buone per te, e dunque parafrasando De Andrè, di gran lunga meglio averti persa, che non averti mai conosciuta.

Che eri folle, amica mia, eri folle. E genuina. E chiunque ti avrebbe voluto bene, con quel tuo sorriso che riempiva le stanze, e le giornate, e che faceva primavera anche d’inverno.

Quindi, mi raccomando, tienimi un posto vicino a te e metti in fresco la birra, che appena ti raggiungerò la prima cosa che vorrò fare, sarà prendermi una bella sbornia con te, cazzo, come ai bei tempi, come quando eravamo giovani, come quando ancora l'orizzonte era distante e il futuro incerto; come quando tutto, ancora, era possibile. Amica mia.



                                                                                                                        Lorenzo


















1 commento:

  1. Ciao Sonia, volevo mandarti un saluto lo faccio da qui.
    Un giorno mi hai chiamato per sapere come fosse la vita a Londra, mi hai detto che volevi cambiare vita cercare qualcosa di nuovo non per forza lavorare come infermiera.
    Io ero al lavoro e di certo non è stata una chiamata esauriente, ma in quei pochi minuti in cui abbiamo parlato mi sono sentito rassicurato dal fatto che ci fosse qualcuno come me a cui non bastava la vita che faceva, il quale avesse qualcosa dentro che non lo faceva stare tranquillo, il solito lavoro, la solita routine, la stessa casa, gli stessi amici (conoscenti) che ti dicono le stesse cose a distanza di week and diversi, le solite serate, le stesse cazzate rimacinate riproposte rivomitate ma sempre quelle rimanevano. Pensaci un attimo… mi hai chiamato per sapere delle cose da me e senza saperlo mi hai fatto del bene TU a me.
    Sarebbe stato meglio se ci fossimo seduti a parlare, sarebbe stato meglio se ti avessi richiamata…. Non l’ho più fatto. Non voglio espiare i miei sensi di colpa adesso, voglio solo ricordarti e salutarti e dirti che sei una persona speciale.
    Un abbraccio.

    Tommaso

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