Sonia.
Sappi che sarai sempre
viva, nei miei ricordi.
Ricordi belli e
indelebili, che serberò geloso al mio interno.
Sappi che fino a quando
sarò vivo io, sarai viva anche tu.
Sonia.
Ormai ne sono passati
di anni, da quel giorno.
Son successe, e mi son
successe, così tante cose, che. Ma ecco. Sappi che comunque, ogni tanto, un
pensiero per te ce l’ho sempre, e di solito l’onoro ascoltando “Il Testamento”,
canzone che Appino ha voluto dedicare al regista Mario Monicelli, e che io
voglio dedicare a te.
“E sono certo in pochi
possono capire,
ma davvero io son
felice di morire.
Ho fatto tutto quello
che dovevo fare,
ed ho sbagliato per il
gusto di sbagliare,
son stato sveglio
quando era meglio dormire,
e ho dormito solo per
ricominciare.
Son stato solo tutto il
tempo necessario,
a guardare gli altri,
non per fare il solitario,
ed ho creduto in tutti
per quel che ho potuto,
mi son rialzato sempre
dopo esser caduto,
ho preso in giro solo
quelli più potenti,
a loro ho preferito
sempre i pezzenti.
Me ne son fregato dei
giudizi della gente,
nessuno giudica se è un
poco intelligente,
ne ho amati molti
perché lo volevo fare,
tanti ne ho odiati ma
anche loro per amore,
ho preferito Gesù
Cristo a suo padre,
anche se entrambi non
li voglio al funerale.
Ho scelto tutto quello
che volevo fare,
e ho pagato ben
contento di pagare,
perché la scelta in fondo
è l'unica cosa
che rende questa vita
almeno dignitosa
…
Io ho scelto
esattamente tutto quel che sono,
senza la scelta io la
vita l'abbandono.
Ho scelto tutto, tutto
tranne il mio dolore,
lo ammazzo io, e non
c'è niente da capire”
Sonia.
Sappi che anch’io credo
ci sia poco da capire.
C’è solo da accettare, senza
giudicare.
Anche se certo. Prima
di perderti avrei desiderato abbracciarti, e poi farti ridere come una volta,
per l'ultima volta, e chiacchierare ancora un po’, ubriacarci insieme sino a
barcollare stonati, per poi aspettare l'alba fumando sigarette sottomarca,
comprate in qualche distributore automatico raggranellando spicci da tutte le
tasche.
Poi forse ti avrei
lasciata andare. Perchè come disse Emil Cioran: “Soltanto gli ottimisti si
suicidano, gli ottimisti che non possono più esserlo. Gli altri, non avendo
alcuna ragione per vivere, perché dovrebbero averne una per morire?”
Sonia.
Non mi manchi. Passano
anche mesi senza che ti penso. Ma poi. Mi basta ritrovare una tua foto, o una
tua lettera, o un tuo pensiero scritto in qualche mio quaderno universitario,
mi basta vedere un Ciao che arranca in salita, prendere una strada
contromano, sentir nominare il nome della tua città, o quello di Serrapetrona, o
sentire The Passenger di Iggy Pop, e, una fitta, una lacrima, mentre
sorrido, un po’ sbilenco.
Sonia.
E quando mi capita, di
ripensarti, mi torna in mente il giorno del tuo funerale.
Che giorno strano. Quasi
tutta la combriccola universitaria riunita, lì, tutti un po’ più vecchi ma sempre
uguali, e riuscimmo anche a ridere rivivendo vecchi momenti.
Ma poi al cimitero due
lacrime, mi gonfiarono gli occhi mentre un buffo tipo lavorava di cazzuola, due
lacrime che non scorderò mai.
Non era la prima volta
che entravo in quel cimitero. C’ero già stato. Proprio con te, quando morì tua
nonna, e mi fece così strano tornarci non più con te, bensì per te.
Solo due lacrime, che
non riuscirono neanche a correre giù nelle guance, rimaste nascoste dietro gli
occhiali da sole, due lacrime piccole, timide, ma dense, piene di te.
La prima nacque mentre
ripensavo a tutti i bei momenti trascorsi insieme;
la seconda nacque per
fare compagnia alla prima, perché da sola no, non ce la poteva fare.
Sonia.
E ogni volta che mi
capita di ripensarti, tornano. Quelle due lacrime.
Perché lo sai. Ti ho
sempre voluta bene, e ho sempre avuto parole buone per te, e dunque parafrasando
De Andrè, di gran lunga meglio averti persa, che non averti mai conosciuta.
Che eri folle, amica
mia, eri folle. E genuina. E chiunque ti avrebbe voluto bene, con quel tuo
sorriso che riempiva le stanze, e le giornate, e che faceva primavera anche d’inverno.
Quindi, mi raccomando,
tienimi un posto vicino a te e metti in fresco la birra, che appena ti
raggiungerò la prima cosa che vorrò fare, sarà prendermi una bella sbornia con
te, cazzo, come ai bei tempi, come quando eravamo giovani, come quando ancora
l'orizzonte era distante e il futuro incerto; come quando tutto, ancora, era
possibile. Amica mia.
Lorenzo
Ciao Sonia, volevo mandarti un saluto lo faccio da qui.
RispondiEliminaUn giorno mi hai chiamato per sapere come fosse la vita a Londra, mi hai detto che volevi cambiare vita cercare qualcosa di nuovo non per forza lavorare come infermiera.
Io ero al lavoro e di certo non è stata una chiamata esauriente, ma in quei pochi minuti in cui abbiamo parlato mi sono sentito rassicurato dal fatto che ci fosse qualcuno come me a cui non bastava la vita che faceva, il quale avesse qualcosa dentro che non lo faceva stare tranquillo, il solito lavoro, la solita routine, la stessa casa, gli stessi amici (conoscenti) che ti dicono le stesse cose a distanza di week and diversi, le solite serate, le stesse cazzate rimacinate riproposte rivomitate ma sempre quelle rimanevano. Pensaci un attimo… mi hai chiamato per sapere delle cose da me e senza saperlo mi hai fatto del bene TU a me.
Sarebbe stato meglio se ci fossimo seduti a parlare, sarebbe stato meglio se ti avessi richiamata…. Non l’ho più fatto. Non voglio espiare i miei sensi di colpa adesso, voglio solo ricordarti e salutarti e dirti che sei una persona speciale.
Un abbraccio.
Tommaso