Noi ora siamo tutti consumatori, consumatori prima
di tutto e sopra a tutto, consumatori per diritto e per dovere.
All’indomani dell’attentato terroristico dell’11
settembre George Bush, invitando gli americani a superare il trauma e a
ritornare alla normalità, non trovò meglio da dire che “ritornate a fare
shopping”.
E’ il livello della nostra attività di fare
acquisti e la facilità con cui ci liberiamo di un oggetto di consumo per
sostituirlo con uno “nuovo e migliorato” che noi impieghiamo come metro
principale della nostra posizione sociale e come punteggio nella competizione
per il nostro successo nella vita.
A tutti i problemi che incontriamo sulla strada
che ci allontana dai dispiaceri e ci porta verso la soddisfazione cerchiamo la
soluzione nei negozi.
Dalla culla alla bara siamo educati e addestrati a
trattare i negozi come farmacie piene di medicine per curare o almeno mitigare
tutte le malattie e afflizioni della nostra vita e della vita in generale.
I negozi e il fare compere acquistano così una
piena e autentica dimensione escatologica.
I supermercati sono i nostri templi e le liste di
acquisti i nostri breviari, mentre i quattro passi lungo le strade dello shopping diventano i nostri
pellegrinaggi.
Comprare d’impulso e liberarsi degli oggetti in
nostro possesso non più abbastanza attraenti, per mettere al loro posto quelli
attualmente più attraenti, sono le nostre emozioni più entusiasmanti.
La pienezza di godimento del consumatore significa
pienezza di vita.
Faccio acquisti, quindi sono. Fare acquisti o non
fare acquisti, è questo il problema.
Per i consumatori manchevoli, la versione
aggiornata dei non abbienti, il non fare acquisti rappresenta lo stigma
stridente e avvilente di una vita non realizzata, lo stigma del proprio non
essere nessuno ed essere un buono a niente. Non solo dell’assenza di piacere,
ma dell’assenza di dignità umana.
Per i membri legittimi della congregazione, i
supermercati possono essere i templi di culto e destinazioni di pellegrinaggi
rituali.
Per gli scomunicati, trovati carenti e quindi
banditi dalla chiesa dei consumatori, sono invece gli avamposti del nemico,
provocatoriamente insediati sulla terra del loro esilio. Bastioni pesantemente
sorvegliati sbarrano l’accesso ai beni che proteggono gli altri da un simile
destino: come George Bush dovrebbe ammettere, essi sbarrano il ritorno (e per i
più giovani che non hanno ancora mai avuto occasione di sedere su un banco
della chiesa, l’accesso) alla “normalità”.
Inferriate e persiane di acciaio, telecamere a
circuito chiuso, guardie di sicurezza in uniforme all’ingresso e in abiti
borghesi all’interno non fanno che appesantire l’atmosfera da “campo di
battaglia” e di ostilità in corso. Quelle cittadelle armate e strettamente
vigilate del “nemico in mezzo a noi” servono giorno dopo giorno a rammentare la
degradazione, l’inferiorità, la miseria e l’umiliazione degli indigeni.
…
Spesso in effetti la nostra vita sembra un mero
cercare di fare un punteggio migliore del vicino.
Ma “il fare sempre meglio degli altri” presuppone
la disuguaglianza delle posizioni sociali.
Ma che poi: meglio
in che cosa?
…
Il punto dunque è se le gioie della convivialità (ma
questo per ora non è dato saperci) siano capaci di sostituire il perseguimento
della ricchezza, il godimento dei beni di consumo offerti dal mercato e l’arte
di fare sempre meglio degli altri, combinati nell’idea di crescita economica
infinita, nel loro ruolo di ricette quasi universalmente accettate di vita
felice.
…
Nella sua tagliente e brillante vivisezione
dell’attuale stato di diseguaglianza, Daniel Dorling, docente di Geografia
umana all’Università di Sheffield, suggerisce enfaticamente che:
“La diseguaglianza sociale nei Paesi ricchi
persiste a causa della continua credenza nei dogmi dell’ingiustizia, e per la
gente sarebbe un trauma scoprire che potrebbe esserci qualcosa di sbagliato nel
tessuto ideologico della società nella quale viviamo. Come quelli le cui
famiglie possedevano piantagioni coltivate dagli schiavi dovevano considerare
naturale quel tipo di proprietà al tempo della schiavitù, e come il non voto
alle donne era considerato un tempo una condizione di natura, così tante grandi
ingiustizie dei nostri giorni sono per molti semplicemente parte del panorama
della normalità.”
…
Già, i dogmi della crescita economica infinita,
del perseguimento fine a se stesso della ricchezza, vengono sempre
difficilmente verificati, controllati e meditati; sono le tacite, raramente
articolate credenze attraverso le quali pensiamo, senza renderci conto che in
questo modo ci formiamo opinioni che non hanno altro fondamento se non queste
stesse credenze.
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